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Era il 64 d.C. e nel bel mezzo dell’estate Roma fu colpita da un terribile incendio, tramandato ai posteri anche per le accuse che furono mosse dall’imperatore Nerone nei confronti dei cristiani.
Quello che avvenne nella notte del 18 luglio del 64 fu il più vasto incendio della storia dell’Antica Roma. A dominare la città era l’imperatore Nerone, fautore di un rinnovamento urbanistico al punto che tra le ipotesi dell’appiccamento del fuoco vi era la sua volontà di accelerare i lavori ricostruendo poi dalle basi quello che sarebbe crollato. Altri storici contemporanei invece sostengono che Nerone architettò la distruzione di Roma per trarre ispirazione per il suo canto e imprimere un ricordo indelebile della sua persona nella storia dell’umanità.
Le fiamme iniziarono a propagarsi da una delle zone più povere di Roma e per evitare di non essere sospettato l’imperatore accusò i seguaci del Cristianesimo che aveva da poco iniziato a diffondersi in città. Secondo Tacito furono arrestati a centinaia e condannati non tanto per l’incendio in sé ma per il loro odio nei confronti del genere umano, con supplizi crudeli che erano stati pensati dalla mente di Nerone stesso, considerato da Svetonio come diabolico.
La ricostruzione della città iniziò dalla Domus aurea, la nuova residenza che l’imperatore si sarebbe fatto costruire approfittando del disastro. La città cambio forma, con vie diritte, cortili interni e portici davanti alle facciate. Tacito cita una serie di regole stabilite da Nerone. Gli edifici non potevano avere muri in comune e le macerie furono portate nelle paludi di Ostia nei viaggi di ritorno delle navi che risalivano il Tevere verso Roma con il grano.
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