La Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami e la storia della sua confraternita
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“Pigneto”: che nome strano, quanti di voi si sono mai chiesti cosa voglia dire? E cosa nasconde questo suggestivo quartiere romano?
Furono i Caballini, per primi, a definirlo tale: la zona era talmente piena di pini, che non si poteva fare altrimenti. Per questo, l’appellativo di Pigneto: una definizione precisa, in grado di evocare i grandi alberi posti lungo il muraglione della settecentesca villa Serventi, ivi presente. Così, è dal XVII secolo, o giù di lì, che i romani chiamano quest’area, a forma di triangolo, col suddetto nome. Ma cosa c’era in questo luogo prima della sua urbanizzazione? E quali bellezze, antiche e moderne, nasconde oggi?
Quartiere inizialmente suburbano, composto per lo più di orti, ville e vigne, il Pigneto rappresentò a lungo per Roma un’area geografica quasi disabitata, almeno fino al 1870. Anno di svolta in cui piano piano sorse il primo agglomerato edilizio, grazie all’unione di più insediamenti abitativi: il Prenestino, il Torrione, la borgata Galliano, l’Acqua Bullicante, la borgata Marranella ed il Casilino. Per via della nascita inoltre, tra il 1886 e il 1891, del primo deposito di omnibus e tram a cavallo (divenuto poi esclusivamente tranviario), della Società Romana Tramways Omnibus, proprio qui, il passo, per farne un quartiere piuttosto trafficato, fu davvero breve.
(Fonte: La Stampa)
Un po’ come la storia di San Lorenzo, anche la storia del Pigneto si lega alla sua composizione sociale, a maggioranza popolare. Una circostanza che lo portò spesso ad essere politicamente attivo (subì i bombardamenti del 1943-1944), fino a farne un avamposto, come il vicino quartiere universitario, alla lotta contro il regime del Nazifascimo.
Molti di voi, poi, non potranno far a meno di associare il luogo al covo della Brigate Rosse, riportato alla luce, in via Raimondo Montecuccoli numero 3, il 20 dicembre del 2003.
Insomma, quanto a racconti (compresi quelli del sabato sera, vista la movida sull’isola pedonale degli ultimi anni) se i muri del Pigneto potessero parlare ne avrebbero di cose da raccontare, mica spicci!
A partire dalle curiosità sui nomi delle sue stradine e delle sue vie, convenzionalmente divisi in tre macrogruppi: nomi di città, come ad esempio via Ascoli Piceno; nomi di condottieri, come via Ettore Giovenale; e nomi di geografi, come attesta via Strabone. E che dire delle piccole perle architettoniche, che questo spicchio di Roma cela al suo interno?
Raggiungibile ormai tramite la metro C, di cui è fermata – nun c’avete scuse -, questo quartiere è ricco di spunti da non farsi sfuggire, soprattutto per chi ama tornare un po’ indietro nel tempo, o spulciare tra i ricordi di una vecchia bottega artigianale, di quelle “che non se ne vedono più da ‘na cifra“.
(Fonte: Ecomuseo Casilino)
Dal sepolcro di Eurisace, nel vicino piazzale Labicano, noto per essere l’unico simbolo di arte ai fornai al mondo e databile intorno al 30 a.C., fino ad arrivare a veri e propri moderni (ex) edifici industriali, riqualificati e riutilizzati per farne altro, come l’ex Pastificio Pantanella, il Pigneto può considerarsi, a tutti gli effetti, una sorta di incredibile incrocio cronologico. Un crogiolo di epoche e di contaminazioni, a cui neanche molti noti registi hanno saputo resistere, facendone set principale di alcuni tra i più celebri film italiani. Da Roma città aperta (di Roberto Rossellini), passando per l’Accattone (di Pier Paolo Pasolini), fino ad arrivare alle pellicole comiche di Fantozzi. Insomma, tra murales colorati, bancarelle di giorno e fugaci – quanto voraci – attimi di pura e originale romanità, cosa aspettate a farci un salto?
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